Viaggiare senza barriere in tutto il mondo: Lonely Planet punta sui turisti disabili

Sappiamo tutti che il primo ostacolo a viaggiare per chi ha una disabilità o esigenze specifiche è la mancanza di informazioni, combinata con la paura di ciò che non si conosce. Spero che questa raccolta di risorse online, disponibile gratuitamente dallo shop di Lonely Planet, possa permettere di superarla”.

Martin Heng vive a Melbourne, Australia, lavora per la Lonely Planet e si occupa di turismo accessibile. È l’autore di Accessible Travel Online Resources (Risorse online sul turismo accessibile), una guida realizzata da Lonely Planet che raccoglie risorse dai governi locali e nazionali, organizzazioni turistiche e associazioni di disabili suddivisi per Paese, esperienze di viaggio da quasi 50 blog personali, dozzine di agenzie specializzate nei viaggi accessibili e tour operator di 40 Stati, consigli di viaggio per chi ha difficoltà di accesso o esigenze particolari, suggerimenti da viaggiatori disabili esperti.
Sfogliando l’e-book si può scoprire che nel Parco nazionale di Yosemite, negli Stati Uniti, ci sono navette gratuite che accompagnano i visitatori con difficoltà di movimento nei punti panoramici o a vedere le cascate, che inGiappone i trasporti pubblici sono molto efficienti e consentono l’accesso alle sedie a ruote, così come le stazioni che sono dotate di ristoranti e servizi accessibili, che a Barcellona, in Spagna, ci sono tour operator specializzati in visite guidate alla città per persone con disabilità che includono immersioni subacquee e un giro in mongolfiera, e che in Svezia ci sono circa 3.900 strutture accessibili. Per l’Italia una delle risorse che viene citata è Village4All. La guida sarà aggiornata ogni 2 anni ed èscaricabile dal sito della casa editrice, gratuitamente, in formato pdf. “Questa raccolta di risorse online non pretende di essere esaustiva – si legge nell’introduzione – ma è un buon punto di partenza e può essere di aiuto non solo per programmare un viaggio ma anche per trovare strutture adatte una volta arrivati a destinazione”.

Le persone disabili sono circa il 15 per cento del totale della popolazione mondiale e molte di loro viaggerebbero di più se avessero a disposizione informazioni sull’accessibilità di luoghi, strutture, Paesi. Per questo già nel 2013 Lonely Planet aveva iniziato a interessarsi dei viaggiatori con disabilità con la creazione di una piattaforma on line in cui erano gli stessi turisti a condividere le loro esperienze.

I bambini donano i loro disegni per Kilometro Solidale

MILANO. Cosa vuol dire far parte di un gruppo? Ti fa sentire più forte e più protetto? Come ti senti quando aiuti un tuo amico o ricevi un aiuto da un’altra persona? Sono queste le domande su cui si stanno interrogando i 180 bambini seguiti da Fondazione Progetto Arca onlus e dalla Comunità di Sant’Egidio di Milano in questi giorni.

In occasione della Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia che si celebra il 20 novembre, i disegni dei bambini segnano il via della terza edizione di Kilometro solidale, il progetto benefico di PallEx Italia.

Nessuno è mai troppo piccolo o debole per non poter aiutare qualcun altro. Al terzo anno di incontro e conoscenza tra l’azienda di trasporti e le due realtà no profit, in questa edizione di Kilometro solidale sono i bambini che donano i propri disegni al grande network di trasporti.

PallEx Italia, grazie allo spirito di squadra e all’unione di oltre cento aziende specializzate, è diventato negli anni leader nel settore dei trasporti e oggi vuole farsi portatore di un messaggio di solidarietà mettendo al centro i bambini seguiti da Fondazione Progetto Arca onlus e dalla Comunità di Sant’Egidio di Milano.

Kilometro solidale è un’iniziativa di beneficenza unica nel suo genere, che gli scorsi anni ha visto i concessionari e le aziende di tutta Italia uniti in una grande raccolta di beni destinati alle famiglie in difficoltà. Ogni edizione di Kilometro solidale viene sviluppata su un tema specifico, per continuare ad evolversi di anno in anno. Attraverso iniziative di condivisione diverse, tutte targate Kilometro solidale, la conoscenza e la collaborazione tra il network di trasporti e i due enti no profit si sono rafforzate nel tempo. Dalla distribuzione dei pacchi viveri casa per casa insieme agli educatori di Progetto Arca, il primo anno, alla merenda per i bambini della Scuola della Pace della Comunità di Sant’Egidio, l’anno scorso, si è giunti oggi alla riflessione su cosa significhi fare parte di un gruppo.

Quest’anno sono i bambini supportati dai due enti beneficiari della raccolta a regalare i loro disegni al network. I bambini che frequentano le tre Scuole della pace gestite dalla Comunità di Sant’Egidio e i tanti bambini accolti nei Centri di accoglienza da Fondazione Progetto Arca nella città di Milano in questi giorni stanno usando la creatività per disegnare un messaggio caro anche al network: la forza di fare parte di un gruppo e lo spirito di squadra.

I concessionari di PallEx Italia sono innanzitutto un gruppo e fanno dello spirito di squadra il proprio tratto distintivo. Diventano messaggeri di solidarietà con Kilometro solidale, il progetto che li unisce ancora di più perché utilizza la loro rete, estesa in tutta Italia, per raccogliere e spedire i beni di prima necessità alle famiglie bisognose. Il primo anno il network ha donato oltre 1.000 kg di prodotti movimentando 15 pallet, l’anno scorso la quantità è cresciuta raggiungendo i 32 pallet, vale a dire oltre 2.000 kg di beni di prima necessità donati.

“Quest’anno abbiamo scelto di dare voce ai bambini e diffondere, attraverso i loro disegni, il messaggio dell’importanza di essere una squadra, del fare rete e di essere solidali”, afferma Melissa Alberti AD di PallEx Italia, dando il via ufficiale al progetto benefico. I concessionari specializzati del network si impegnano a coinvolgere le imprese italiane affinché donino parte della produzione per la causa benefica. Ultimata la raccolta, i mezzi PallEx consegneranno i prodotti in maniera gratuita ai due enti benefici Fondazione Progetto Arca onlus e la Comunità di Sant’Egidio.

Ripartire dagli ecosistemi per uno sviluppo agricolo sostenibile

 Un nuovo libro della FAO, pubblicato oggi, esamina come i principali cereali, mais, riso e grano, – che si stima appresentino il 42,5% dell’apporto calorico umano e il 37% di quello proteico ​​- possano essere coltivati in modi che rispettino e perfino traggano vantaggio dagli ecosistemi naturali.

Basandosi su studi di casi provenienti da tutto il pianeta, la nuova pubblicazione illustra come l’approccio all’agricoltura “Save and Grow” sostenuto dalla FAO, già impiegato con successo per la produzione di cereali di base, apra la strada verso un futuro più sostenibile per l’agricoltura, e offra una guida su come raggiungere la nuova agenda di sviluppo sostenibile 2030.

“Gli impegni internazionali per sradicare la povertà e far fronte al cambiamento climatico richiedono il passaggio verso un’agricoltura più sostenibile e inclusiva, in grado di produrre rendimenti più elevati nel lungo periodo”, scrive il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, nella prefazione.

I due recenti accordi punto di riferimento a livello mondiale, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) – che richiedono di sradicare la fame e stabilire ecosistemi terrestri su solide basi entro il 2030 – e l’accordo sui cambiamenti climatici di Parigi (COP21), sottolineano la necessità di innovazione dei sistemi alimentari.

Se è vero che i raccolti cerealicoli possono oggi raggiungere livelli record, la loro base produttiva è tuttavia sempre più precaria per i segnali di esaurimento delle acque sotterranee, per l’inquinamento ambientale, per la perdita di biodiversità e per altre situazioni negative che segnano la fine del modello della Rivoluzione Verde. In un contesto in cui la produzione alimentare dovrà crescere del 60% per riuscire a nutrire nel 2050 un’accresciuta popolazione mondiale, è ancora più urgente per i piccoli agricoltori – responsabili della maggior parte delle coltivazioni del mondo – essere messi in grado di farlo con maggiore efficienza e in modi che non aumentino ulteriormente il debito ecologico dell’umanità.

“Save and Grow” è un approccio ad ampio raggio a un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e sostenibile,e mira a intensificare la produzione, tutelare e valorizzare le risorse naturali e ridurre il ricorso a input chimici, sfruttando i processi naturali degli ecosistemi della Terra, facendo aumentare al tempo stesso il reddito lordo degli agricoltori. Come tale, è un approccio che può contribuire notevolmente al raggiungimento dei nuovi obiettivi di sviluppo e promuovere la capacità di risposta al cambiamento climatico.

Le pratiche proposte da “Save and Grow” vanno dalla coltivazione di alberi da ombra che perdono le foglie quando le colture di mais limitrofe hanno maggior bisogno di luce solare, come provato con successo in Malawi e in Zambia, a una lavorazione minima del terreno, facendo a meno di un’aratura profonda, per mantenere in modo permanente la copertura organica, lasciando i residui colturali come pacciame sulla superficie del terreno, un metodo applicato su vasta scala dai coltivatori di grano nella steppa del Kazakistan, a pratiche sempre più innovative di utilizzo dei residui di coltivazione adottate dagli agricoltori negli altopiani dell’America centrale e del Sudamerica.

“È giunto il momento di estendere pratiche che si sono dimostrate positive sui campi degli agricoltori in programmi nazionali più ambiziosi”, scrive il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, nell’introduzione a Save and Grow in Practice. Un libro che ha descritto come “un contributo importante per creare il mondo che vogliamo”.

Un nuovo libro della FAO, pubblicato oggi, esamina come i principali cereali, mais, riso e grano, – che si stima appresentino il 42,5% dell’apporto calorico umano e il 37% di quello proteico ​​- possano essere coltivati in modi che rispettino e perfino traggano vantaggio dagli ecosistemi naturali.

Basandosi su studi di casi provenienti da tutto il pianeta, la nuova pubblicazione illustra come l’approccio all’agricoltura “Save and Grow” sostenuto dalla FAO, già impiegato con successo per la produzione di cereali di base, apra la strada verso un futuro più sostenibile per l’agricoltura, e offra una guida su come raggiungere la nuova agenda di sviluppo sostenibile 2030.

“Gli impegni internazionali per sradicare la povertà e far fronte al cambiamento climatico richiedono il passaggio verso un’agricoltura più sostenibile e inclusiva, in grado di produrre rendimenti più elevati nel lungo periodo”, scrive il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, nella prefazione.

I due recenti accordi punto di riferimento a livello mondiale, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) – che richiedono di sradicare la fame e stabilire ecosistemi terrestri su solide basi entro il 2030 – e l’accordo sui cambiamenti climatici di Parigi (COP21), sottolineano la necessità di innovazione dei sistemi alimentari.

Se è vero che i raccolti cerealicoli possono oggi raggiungere livelli record, la loro base produttiva è tuttavia sempre più precaria per i segnali di esaurimento delle acque sotterranee, per l’inquinamento ambientale, per la perdita di biodiversità e per altre situazioni negative che segnano la fine del modello della Rivoluzione Verde. In un contesto in cui la produzione alimentare dovrà crescere del 60% per riuscire a nutrire nel 2050 un’accresciuta popolazione mondiale, è ancora più urgente per i piccoli agricoltori – responsabili della maggior parte delle coltivazioni del mondo – essere messi in grado di farlo con maggiore efficienza e in modi che non aumentino ulteriormente il debito ecologico dell’umanità.

“Save and Grow” è un approccio ad ampio raggio a un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e sostenibile,e mira a intensificare la produzione, tutelare e valorizzare le risorse naturali e ridurre il ricorso a input chimici, sfruttando i processi naturali degli ecosistemi della Terra, facendo aumentare al tempo stesso il reddito lordo degli agricoltori. Come tale, è un approccio che può contribuire notevolmente al raggiungimento dei nuovi obiettivi di sviluppo e promuovere la capacità di risposta al cambiamento climatico.

Le pratiche proposte da “Save and Grow” vanno dalla coltivazione di alberi da ombra che perdono le foglie quando le colture di mais limitrofe hanno maggior bisogno di luce solare, come provato con successo in Malawi e in Zambia, a una lavorazione minima del terreno, facendo a meno di un’aratura profonda, per mantenere in modo permanente la copertura organica, lasciando i residui colturali come pacciame sulla superficie del terreno, un metodo applicato su vasta scala dai coltivatori di grano nella steppa del Kazakistan, a pratiche sempre più innovative di utilizzo dei residui di coltivazione adottate dagli agricoltori negli altopiani dell’America centrale e del Sudamerica.

“È giunto il momento di estendere pratiche che si sono dimostrate positive sui campi degli agricoltori in programmi nazionali più ambiziosi”, scrive il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, nell’introduzione a Save and Grow in Practice. Un libro che ha descritto come “un contributo importante per creare il mondo che vogliamo”.

Capire Save and Grow

L’approccio Save and Grow fa riferimento a una serie di tecniche che hanno tutte una caratteristica comune, cercare di sfruttare al meglio i processi biologici naturali e gli ecosistemi per “produrre di più con meno”.

Cinque elementi complementari formano il nucleo del paradigma di Save and Grow: l’agricoltura conservativa, che riduce al minimo la lavorazione del terreno e utilizza la pacciamatura e la rotazione delle colture; il miglioramento delle condizioni del terreno, per esempio coltivare piante fissatrici d’azoto in sostituzione di costosi fertilizzanti minerali; la selezione di colture con elevato potenziale di resa, capaci di resistere meglio agli stress biotici e climatici, e con maggiore qualità nutrizionale; un impiego efficiente delle risorse idriche; una gestione integrata dei parassiti, cercando laddove possibile di sfruttare nemici naturali per ridurre al minimo la necessità di pesticidi chimici.

Un esempio classico, ormai ampiamente adottato in Cina, è il sistema di riso-pesce, in base al quale i coltivatori hanno inondato le risaie con pesce, che può essere poi venduto o consumato, ma nel frattempo i pesci mangiano gli insetti, i funghi e le erbe infestanti che altrimenti danneggerebbero il raccolto, riducendo la necessità di ricorrere ai pesticidi.

Una risaia di un ettaro può arrivare a produrre fino a 750 kg di pesce, continuando al tempo stesso la produzione di riso e facendo quadruplicare il reddito delle famiglie rurali. Tra gli altri vantaggi di questa tecnica la drastica diminuzione delle zanzare, vettori di gravi malattie.

La FAO stima che il 90% del riso del mondo è coltivato in habitat che sarebbero adatti alla coltivazione del riso insieme al pesce, ma al di fuori della Cina solo l’1% delle risaie dell’Asia utilizza questo sistema. Il governo indonesiano ha di recente lanciato un programma per cambiare il metodo di coltivazione di un milione d’ettari destinandoli a questa tecnica integrata.

La creazione di habitat

L’approccio eco-sistemico su cui si basa Save and Grow è esemplificato nel modo in cui alcuni piccoli agricoltori in Africa hanno affrontato il problema di una tarma indigena le cui larve divorano il mais a un tasso spaventoso. La consociazione della coltivazione del mais con quella della leguminosa Desmodium, in campi circondati dall’erba Napier – un tipo di foraggio per il bestiame – catalizza un interessante sistema di difesa. Il Desmodium produce sostanze chimiche che attraggono i predatori dei parassiti del mais, e che allo stesso tempo inviano un falso segnale di pericolo che spinge questi parassiti, pronti a deporre le uova, a cercare un habitat nell’erba Napier, che a sua volta emana una sostanza appiccicosa che intrappola le larve.

Oltre a questo il Desmodium– che fissa anche l’azoto nel terreno – sembra favorire la germinazione della striga, una pianta parassita infestante che devasta abitualmente le coltivazioni africane, impedendo la crescita delle radici delle erbacce. Anche se quest’approccio all’agricoltura comporta dedicare meno superficie alla coltivazione del mais rispetto alla monocoltura, è molto più produttivo, con il 75% dei contadini che l’hanno adottato nei terreni intorno al Lago Vittoria che dicono che le loro rese nette si sono a dir poco triplicate. L’incremento della coltivazione dell’erba Napier si traduce anche in un incremento degli allevamenti bovini e della produzione di prodotti lattiero-caseari, con conseguente aumento dell’offerta di latte.

Strumenti di alta tecnologia

Se un cambiamento a livello globale nella direzione di una maggiore sostenibilità implica “il raggiungimento di un equilibrio tra le esigenze dei sistemi umani e di quelli naturali”, anche la tecnologia avanzata ha un ruolo da svolgere nel migliorare il flusso dei servizi eco-sistemici. Sensori ottici portatili sono in grado di determinare, in tempo reale, di quanto fertilizzante azotato ha bisogno una pianta. Livellamenti del terreno di precisione, assistititi da strumentazione laser, hanno portato a incrementi di produttività in tutta l’India, riducendo l’impiego d’acqua di ben il 40% rispetto al livellamento del terreno con tradizionali tavole di legno.

Save and Grow è un approccio flessibile. Poiché le esigenze degli ecosistemi e quelle dell’agricoltura variano, c’è ampio spazio per innovazioni concernenti il sequestro del carbonio, la nutrizione, l’impiego di fertilizzanti innovativi e l’introduzione di nuove varietà vegetali, insieme all’individuazione di come sementi, animali e tecniche agricole possano interagire.

La FAO pone inoltre l’accento sul fatto che sistemi agricoli Save and Grow sono ad alto contenuto di conoscenze, e devono essere costruiti sulla conoscenza e sui bisogni locali, riconoscendo l’importante ruolo degli agricoltori come innovatori.

Indicatori politici

I piccoli proprietari che adottano un tale cambiamento di paradigma spesso rilevano che, mentre i benefici sono chiari, non sempre sono immediati. Per questo motivo, Save and Grow richiede un forte impegno istituzionale per un periodo abbastanza prolungato.

Per consentire il passaggio verso un’intensificazione sostenibile della produzione agricola, i responsabili politici dovrebbero offrire incentivi agli agricoltori per la diversificazione – sostenendo i mercati per le colture a rotazione, fornendo al tempo stesso strumenti di assicurazione dei raccolti, regimi di protezione sociale e facilitazioni per l’accesso al credito, così da ridurre i rischi che potrebbero dover affrontare nel processo di cambiamento. Un’agricoltura con poca lavorazione del terreno ad esempio, è spesso ostacolata da un accesso inadeguato ai macchinari che richiede.

Se è vero che non vi è un progetto unico per l’approccio eco-sistemico di Save and Grow, promuoverne l’adozione su vasta scala richiede un’azione concertata a tutti i livelli, dai governi, alle organizzazioni internazionali, alla società civile e al settore privato.

L’esperienza del Kazakistan con l’agricoltura di conservazione prova che adottare la sfida di quest’approccio su larga scala alla fine premia. Inizialmente utilizzata nel 1960 per combattere l’erosione del suolo provocata dal vento, la FAO nel 2000 ha iniziato a sostenere quest’approccio senza-aratri, che aiuta a mantenere la neve sciolta e l’acqua piovana nel terreno e ha portato a un aumento delle rese del frumento del 25% insieme a meno lavoro e a costi più bassi del carburante. Nel 2011, il governo ha introdotto estesi sussidi per promuovere l’adozione della pratica, e oggi, la metà dei 19 milioni di ettari di terreni coltivati del paese hanno adottato in pieno ​​l’agricoltura di conservazione.

Trenta Dottor Sogni per far sorridere i bambini

ROMA. Regalano ogni anno la magia di un mondo a colori a oltre 35.000 bambini ricoverati in 40 reparti pediatrici di 18 ospedali italiani.

Sono i 30 Dottor Sogni di Fondazione Theodora Onlus, artisti professionisti -specificamente formati per lavorare in ambito ospedaliero pediatrico – che portano un sorriso ai piccoli pazienti attraverso visite personalizzate in base all’età, all’umore, alla condizione medica e famigliare del bambino.

Perché un bambino sereno ha più forza per affrontare la malattia e per guarire.

Attraverso il progetto “Un sorriso per i bambini in ospedale” Fondazione Theodora Onlus vuole garantire la visita dei Dottor Sogni ai bambini ricoverati nei reparti di oncologia e ai piccoli pazienti che devono affrontare un intervento chirurgico. Per contribuire, fino al 24 gennaio 2016, bastano un SMS solidale o una chiamata da rete fissa al 45509 per donare 2 o 5 euro.

Con i fondi raccolti i Dottor Sogni potranno continuare la loro attività presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, l’Ospedale San Gerardo di Monza, l’Istituto Giannina Gaslini di Genova, il Policlinico Umberto I di Roma e presso l’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi di Milano, dove la Fondazione ha recentemente avviato un nuovo programma di visite, l’accompagnamento chirurgico. Il programma consiste nell’accompagnare il bambino che sta per affrontare un intervento chirurgico e la sua famiglia dal momento dell’attesa pre-operatoria fino al risveglio, con l’obiettivo di distendere le ansie ed abbassare il livello di stress del bambino e dei genitori.

In totale armonia con il personale medico e ospedaliero e nel rigoroso rispetto dei ruoli e delle competenze, i Dottor Sogni si prendono cura della parte sana del bambino, che vuole esprimersi con la fantasia, lo stupore, il sorriso, la risata e anche il pianto. L’intervento dei Dottor Sogni non si traduce quindi in un semplice spettacolo di intrattenimento, ma mira a creare un rapporto di fiducia, di confidenza, basato sul gioco e sull’accoglimento delle emozioni.

Per questo progetto Fondazione Theodora Onlus può contare sul sostegno della testimonial Margherita Buy, che ha prestato la sua immagine per la campagna di comunicazione, e di tanti amici come Filippo La Mantia, Massimiliano Rosolino, Natalia Titova e degli sportivi Romano Battisti, Valerio Cleri, Tommaso Rinaldi e Flavia Tartaglini.

 

Roma, a Tor de’ Schiavi nasce un giardino zen

Al posto di una vecchia fontana (per anni ricettacolo di degrado), in largo Agosta, a Tor de’ Schiavi, nasce un giardino zen, voluto dal V Municipio come simbolo di “una Europa di pace”. L’intervento, totalmente a carico dell’amministrazione di prossimità, è costato 18mila euro. “L’ aiuola rappresenta l’integrazione possibile tra modelli religiosi e stili di vita diversi – spiega il vicepresidente del V municipio, Stefano Veglianti – E’ da poco ricorso l’anniversario dei 100 anni dallo scoppio della I guerra mondiale e volevamo intitolare l’area ai ragazzi del ’99, i 18enni chiamati alle armi dopo la disfatta di Caporetto e caduti nel conflitto. Ma l’ufficio Toponomastica del Comune ci ha bocciato la proposta. Ora ci auguriamo di siglare al più presto un patto con la cittadinanza per consentire l’adozione dell’area.

Maternità, il ponte tra mamme Italia-Africa

Due occhi vispi che spuntano tra le cannette che fungono da muro delle capanne africane. Dentro un uomo dal camice bianco sta visitando una madre giunta al terzo figlio. Ha le doglie, il medico scuote la testa e fa cenno che occorre portarla nel centro ospedaliero più vicino, chilometri di pista polverosa da fare a piedi o a bordo di un Boga boga, un mototaxi… Ore  prima di arrivare nel piccolo presidio sanitario.

Un mondo lontano da quello che vivono le donne italiane che alle prime contrazioni si recano nel reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale più vicino a casa. Altre latitudini.

Nell’Africa Sahariana c’è un’ostetrica ogni 20 mila abitanti e circa 265 mila donne muoiono ancora ogni anno durante il parto.

Ed è proprio per promuovere il diritto alla salute di mamme e bambini africani, che nasce “Una vita per una vita” promossa da Medici con l’Africa Cuamm. Il nome dell’iniziativa deriva dall’idea che una mamma che ha appena dato alla luce una vita nuova con un piccolo contributo (40 euro) può garantire a una donna africana la stessa possibilità.

«Quante persone si sono date da fare e mi hanno aiutato a far nascere il mio piccolo, a fare in modo che tutto fosse pronto, tempestivo, in ordine, pulito – racconta Lisa neomamma di Mestre (Ve) -. È per questo che quando mi hanno proposto di donare a un’altra mamma africana, la possibilità di ricevere assistenza durante il parto, ho accettato. È un modo per “prendersi cura” dell’altro, anche da lontano”».

I soldi raccolti in questi anni, presso 30 strutture ospedaliere del Triveneto, serviranno a sostenere il progetto “Prima le mamme e i bambini” e a  garantire nei prossimi cinque anni, un parto gratuito e sicuro a 125 mila mamme di quattro paesi africani.

A fare da veicolo informativo dell’iniziativa gli stessi ginecologi e il personale dei reparti maternità.

«Non potevamo rimanere indifferenti di fronte a questa bella sfida che ci ha proposto il direttore di Medici con l’Africa Cuamm don Dante Carraro – ha precisato Tiziano Maggino, primario di Ostetricia e ginecologia presso Ospedale dell’Angelo di Mestre –. Siamo convinti che investire nella salute delle generazioni future sia segno di progresso e che puntare sulla salute delle donne, in ogni società, sia un contributo fattivo alla democrazia di un paese».

Seguite Cuamm sui social network #quellidellultimomigliorRosso e leggete il reportage in Uganda tra i medici con l’africa pubblicato su Io donna

Piantare alberi per aiutare il mondo

In fondo non ci vuole molto a fare qualcosa di straordinario, solo un animo generoso e la volontà di fare un gesto di bellezza. Così Pascal Petti, fabbro e artigiano, appassionato e ammiratore di alberi imponenti e secolari, in una domenica di novembre con un gruppo di una settantina di persone tra adulti e bambini provenienti da diverse regioni italiane, ha piantato più di 170 alberi in un terreno comunale situato al crocevia tra via dei Missaglia e via Fabrizio De André in zona 5 a Milano.

Pascal ha per hobby la piantumazione di alberi e altre attività ambientaliste e fa parte da anni del gruppo facebook Seminiamo piante per salvare il mondo che ha per scopo far crescere boschi da lasciare alle generazioni future. Attraverso il gruppo della rete social, che raccoglie 2040 iscritti in tutta Italia, crea l’evento Piantiamo che in poco tempo attiva un tam-tam con altre persone di altri gruppi e raccoglie decine di partecipanti.

«Mi sembrava dispersivo che tutti piantassero piante sparsi per tutta l’Italia e allora mi sono detto di concentrare le risorse in un posto unico», ci racconta Pascal. «È partita quasi per gioco e sono arrivate circa settanta persone. Diego e Alessio sono arrivati da Bologna e hanno portato trenta piante da piantumare. Sono stati interrati aceri, olmi, querce ma anche alberi da frutto come amareni, ciliegi, albicocchi, meli, perché mangiare i frutti di ciò che hai piantato personalmente, dona una gratificazione e un sapore impagabili. Poi si sono unite anche le persone che facevano gli orti nelle vicinanze e la giornata è stata una grande festa soprattutto per i numerosi bambini presenti».

Il terreno, tenuto per ora a prato, è di proprietà del comune di Milano ed è destinato un giorno a diventare parco ma i cittadini si sono portati avanti col lavoro. Infatti, il loro slogan è: «Il momento migliore per piantare un albero era vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso». E sembra che questa volta non vogliano proprio perdere l’occasione. Se la deforestazione continua al passo attuale, tra cent’anni non ci sarà più foresta pluviale e l’essere umano sarebbe a rischio d’estinzione, sostengono i difensori degli alberi, e se ognuno piantasse qualche albero il giorno, potremo garantirci un’aria più pulita, un miglioramento dell’effetto serra e delle variazioni sul clima.

Al termine della giornata è finito tutto a vin brûlé e a nuovi buoni propositi. Qualcuno ha portato anche del cibo per la festa di conclusione e già sono state lanciate proposte di costituirsi in un’associazione per organizzare iniziative analoghe nel futuro.

 

Ognuno è tornato a casa con una manciata di semenza, suddivisa e scambiata per le attività di piantumazione successive. Se si pensa a questi piccoli semi che racchiudono il potente segreto della vita per diventare gloriosi fusti frondosi, si riconosce come da semplici gesti come quelli di piantare un piccolo albero si possano distinguere i giganti tra gli umani, che vedono un futuro possibile nel prendere l’iniziativa, nella condivisione e il sostegno reciproco per la condivisione del bene. Per guarire dal nanismo si può, tra le tante altre possibilità, cominciare a seguire questo volonteroso e generoso gruppo. Iniziare a muoversi nella direzione giusta porta sempre a grandi mete. Impariamo da loro e dagli alberi, diventando un popolo di giganti.

 

Siria, 20 mila bambini a scuola grazie al progetto “Educate a child”

UNHCR ed Enel insieme per garantire l’istruzione primaria dei bambini siriani. Enel è stata la prima azienda italiana a rispondere all’appello lanciato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, nell’ambito del Global Compact dell’ONU, il più importante network di imprese al mondo impegnate a rispondere alle principali sfide legate alla sostenibilità e alla tutela dei diritti umani. Facendo seguito all’esortazione per un supporto all’impegno umanitario dell’Alto Commissariato per i Rifugiati in Siria, il Gruppo ha deciso di sostenere il progetto “EDUCATE A CHILD” dell’UNHCR, che garantisce l’accesso all’istruzione primaria per le bambine e i bambini rifugiati e sfollati nel Paese per il triennio 2015-18. Enel, attraverso la sua Onlus Enel Cuore, contribuirà a garantire l’accesso all’istruzione per il 2016 a oltre 20.000 bambini.

I numeri della forzata evasione scolastica. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione siriano, la guerra ha costretto circa 2,4 milioni di bambini ad abbandonare la scuola dal 2011 ad oggi, con una diminuizione delle iscrizioni del 38%. L’impossibilità di proseguire nel corso degli studi è uno dei fattori più rilevanti che spinge i siriani a cercare asilo in altri Paesi. Nell’anno scolastico 2012 – 2013, grazie a “Educate a Child”, 9.164 bambini rifugiati in Siria, che erano fuori dal sistema scolastico, hanno avuto la possibilità di frequentare la scuola. L’obiettivo dell’UNHCR è continuare a garantire l’accesso all’istruzione a questi primi 9.164 bambini ed allargare il programma ad altri 200.000 bambini sfollati in Siria nel triennio 2015  –  2018.

Il senso e gli obiettivi del progetto. Il progetto si propone di colmare le carenze esistenti nei servizi scolastici, espandendone le capacità in una situazione di assoluta emergenza e drammaticità, fornendo i materiali scolastici necessari, assumendo staff di insegnanti, migliorando gli standard qualitativi e coinvolgendo le comunità locali.

I 5 punti del programma.
1) – contributo economico diretto alle famiglie più disagiate in modo da coprire le spese scolastiche annuali dei propri figli;
2) – attività di counselling e di orientamento scolastico;
3) – corsi di recupero degli anni scolastici;
4) – formazione del personale docente;
5) – recupero degli edifici scolastici.

La scelta di sostenere le comunità. Garantire il diritto all’istruzione significa non solo garantire un futuro ai bambini siriani, ma anche sostenere le famiglie nell’orientamento dell’educazione dei figli: un messaggio che Enel  ha scelto sulla base dei suoi principi di sostegno alla comunità, in particolare dei soggetti più vulnerabili come i bambini,  al quale ha voluto dare una risposta immediata.

L’educazione è un asse progettuale di Enel. Il tema educazione è  in linea con uno degli assi progettuali di Enel in Italia. Con il progetto “Fare Scuola” di Enel Cuore, recentemente lanciato dalla Presidente Patrizia Grieco, nei prossimi tre anni si realizzeranno una serie di interventi di tipo pedagogico e strutturale in 60 istituti di infanzia e primari su tutto il territorio italiano. A questo si aggiungono gli impegni globali di ENEL nell’ambito dei Sustainable Developments Goals delle Nazioni Unite, ribaditi dall’AD Francesco Starace in occasione del Global Compact dello scorso settembre.

“Cartoon Able”, il primo disegno animato per bambini disabili e non solo

ROMA – Il divertimento è un diritto di tutti i bambini. E lo diventa ancor di più grazie a “Cartoon Able“, il progetto ideato dalla casa editrice “Punti di Vista” (una cooperativa formata da sole donne che si occupa di prodotti per bambini disabili, generalmente esclusi dall’editoria tradizionale) finalizzato alla realizzazione del primo prodotto a cartoni animati fruibile da tutti i bambini. L’eccezionalità di questa iniziativa sta proprio nel suo aspetto inclusivo. Infatti,”Cartoon Able“, non è un cartone animato per soli bambini disabili (prodotto che comunque non esiste sul mercato) ma un cartone animato fruibile veramente da tutti i bambini, cioè da quelli normodotati, così come da quelli portatori di handicap vari, siano essi sordi, ciechi, ipovedenti o autistici, sviluppando per questo una forte possibilità di interazione e scambio tra di loro.

Il “respiro mondiale” del progetto. Il progetto, che ha un respiro “mondiale”, in quanto mai, non soltanto in Italia o in Europa, ma in tutto il mondo, è stato immaginato un cartone animato di questo tipo, nasce dall’interazione tra la casa editrice “Punti di vista” coadiuvata da un pool di esperti del settore (educatori, psicologi, operatori…), e”Animundi”- studio di produzione di cartoni animati presente sul mercato dal 2002 e operante a Roma, con sede all’interno degli Studios di Cinecittà – che, grazie alla propria struttura collaudata da quasi 10 anni di co-produzione con Rai Fiction, può garantire la realizzazione del prodotto curandone tutti i passaggi realizzativi.

La raccolta fondi.Cartoon Able” è stato selezionato, tra oltre 140 proposte, sulla piattaforma di crowdfunding di Telecom Italia With You We Do e ha quindi iniziato un suo percorso di raccolta fondi per la realizzazione dei primi 5 episodi da proporre in Dvd abbinati agli specifici prodotti editoriali di “Punti di Vista”. (Raccolta fondi: somma da raggiungere 52.000 €).

«Sport per Tutti», atleti disabili e top player si «sfidano»

TRANI – «Ho avvertito una strana sensazione. Le gambe sono un punto fondamentale per chi pratica il nostro sport. Seduto sulla sedia a rotelle è davvero complicato muoversi». Gaetano De Benigno gioca a basket da otto anni. Milita nella squadra della Juve Trani, in serie C, e sa bene quanto sia importante l’utilizzo delle gambe per giocare a pallacanestro. Scatto, corsa, passaggi. Il loro uso in campo è quasi indispensabile. Quasi. Perché la manifestazione di solidarietà «Sport per Tutti», promossa a Trani da Carlo Impera e Sante Varnavà in collaborazione con l’Associazione Orizzonti, ha raccontato che anche le persone con disabilità possono praticare l’attività sportiva. Senza barriere. Accessibile a tutti, anche a chi per muoversi deve affidarsi alla carrozzina.

LA PARTITA IN CARROZZINA

E’ il senso dell’iniziativa sportivo-solidale, svoltasi domenica scorsa, sul parquet del PalaAssi di Trani. A sfidarsi in una partita di pallacanestro sono stati alcuni atleti con disabilità ed i top player delle squadre di basket tranesi come Juve Trani, Avis Basket Trani, Cavaliers Basket. E proprio questi ultimi, per una mattinata, per una partita di basket, hanno giocato e palleggiato seduti su di una carrozzina, prendendo per un attimo il posto di una persona con disabilità. «L’idea – spiega Angelo Guarriello, presidente dell’Associazione Orizzonti – è quella di calarsi idealmente nei panni di chi vive quotidianamente il rischio dell’esclusione, dell’emarginazione a causa di una disabilità di qualunque genere e, allo stesso tempo, di sensibilizzare ed abbattere le stereotipie mentali riguardanti i problemi legati proprio a causa delle diversabilità».

DANZE SENZA BARRIERE

L’evento ha segnato anche l’avvio della raccolta fondi che mira a fronteggiare le lacune strutturali presenti nella città di Trani che limitano l’accesso alle persone disabili. La manifestazione, presentata dall’attore-autore e regista Gianluca Foresi, è stata caratterizzata dalla performance artistica della coppia formata da Tarek Ibrahim «Drago» e Sara «Draghetta» Greotti. Tarek, paraplegico dalla nascita, e la sua compagna hanno partecipato al programma televisivo «Tu si que Vales» e sono i campioni italiani 2014 e 2015 di danza sportiva. La loro esibizione sul parquet del PalaAssi ha accorciato le distanze, ha raccontato di un sogno possibile, ha ricordato che lo «Sport è per Tutti». Senza barriere.